DESCRIZIONE Sedia e bicchiere 1986, acquaforte, acquatinta e puntasecca, su rame, 69x49,5 cm, stampa a cinque colori su Carta Fabriano 110x85 cm, tiratura 98 esemplari, XXX prove d’artista numerate da I a XXX e 25 Hors Commerce numerati da 1 a 30 H. C. a cura di Stampa Vigna Antoniniana Stamperia d’arte – Roma.
Quella particolare atmosfera che da qualche anno grava sui soggetti esterni o nei paesaggi di Guttuso, l’attesa che si verifichi un evento particolare e imprevisto, ricorre anche su questo foglio, dove non sai se irreale sia la sedia o l’albero che le incombe dietro come un’ombra scura. Era già stato così nella Visita della sera, il quadro del 1980 che rappresenta il cortile del palazzo romano in cui Guttuso abita, con l’apparizione di una tigre enorme, intenta solo a scorrere lenta da una parte all’altra del giardino, come a mostrarsi e ad ammonire.
In questo foglio, forse un angolo dello stesso giardino, qualche cosa sta avvenendo. Lo dichiara lo splendido chiarore all’acquatinta della sedia di ferro, che fa da diapason per tutta la composizione giungendo da un massimo chiaro a un massimo scuro. La luce che ne struttura le forme, infatti, è tutta contenuta all’interno della figurazione, l’acquatinta che colora l’erba, o quella azzurra che a tratti vince l’intrico di foglie e approfondisce lo sfondo, non sono tinte d’inchiostri puri, ma sovrapposti e mischiati, contengono già in essi la luce chiara che li fa accendere. Non solo; anche nel punto di massimo scuro, il tono austero dell’albero, l’acquatinta gioca una partita inaspettata, muove la corteccia, rende la superficie non uniforme, assorbe, chiudendosi nell’ombra, i valori cromatici di tutta la composizione. È un foglio, questo della Sedia che va guardato da vicino, per cogliere il più possibile delle raffinatezze tecniche che lo realizzano e ne alzano la qualità, con disinvolta discrezione.
Opera pubblicata sul catalogo “Renato Guttuso | opere grafiche dal 1983 al 1987”, a cura di Renato Cardi e Luca Mereghetti, edito da “Maestri incisori s.r.l.”, distribuito da “Plumelia”, p. 39.