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Maiorca: poesia e luce

Joan Miró (presente nel nostro sito all'interno del catalogo quadri per studio) si trasferì nel 1950 da Barcellona a Palma di Maiorca nel grande nuovo studio, ubicato all'interno dell'edificio appositamente progettato per lui dall'architetto spagnolo Josep Lluís Sert. Gli ampi spazi e la luce solare del Mediterraneo permettevano all'artista di realizzare un suo vecchio sogno e di avviare una nuova fase del suo lavoro.

Nel 1959 fu allestita la seconda grande retrospettiva della sua opera in America mentre alla Harvard University, Massachusetts, veniva inaugurata nel 1960 la decorazione murale in pannelli ceramici, due metri per sei, realizzata appositamente dall'artista. Dopo la sua prima mostra americana, nel 1932, alla Pierre Matisse Gallery di New York, e la prima grande retrospettiva del 1941 al MoMA - Museum of Modern Art nella Grande Mela, la fama di Miró negli Stati Uniti aveva raggiunto il suo massimo e artisti come Barnett Newman, Mark Rothko, Robert Motherwell e Jackson Pollock avevano riconosciuto il loro debito verso la sua pittura. Dall'insediamento di Miró a Palma di Maiorca la critica fa dunque iniziare, cronologicamente, la fase più tarda del suo lavoro, che si chiuderà con la morte dell'artista nel 1983.

Tra i pittori del Novecento Joan Miró è stato forse, ancor più di Max Ernst e Salvador Dalí, quello che ha meglio aperto le vie della pittura alla voce dell'inconscio. A differenza degli altri due, e quindi in corrispondenza a una visione ancora legata al surrealismo che aveva fatto propria, Miró sviluppa una propria via, apparentemente caratterizzata da una regressione rivolta al linguaggio simbolico dei bambini. Nel dicembre 1958 André Breton scrisse quel testo rivelatore sulle Costellazioni di Miró, la serie di ventidue dipinti a gouache di cui l'autore delineava nel suo volume in modo sottile, quasi mascherato, il significato decisivo della storia della pittura di Miró.

Le Costellazioni raccontavano dunque di migrazioni di uccelli, stabilendo una sorta di alfabeto in cui le figure ("personnages") e uccelli ("oiseaux") tracciavano insieme il ghirigoro fantastico della loro esistenza, come in una mappa del cielo. Questi saranno il preludio necessario a tutta l'opera seguente del pittore, fino ai dipinti della fase finale della sua vita.

Il filo sottile che lega la serie delle Costellazioni a Personaggio, uccello, dipinto in un'altra serie "matematica", Elegie per Roma (realizzata per il gallerista Cleto Polcina nel 1981), è l'assoluta necessità di Miró di costruire un suo linguaggio di segni e forme in cui racchiudere insieme le figure della memoria inconscia e il significato nascosto dell'universo. Un progetto forse impossibile, ma che il pittore persegue in tutta la sua carriera, rendendoci così partecipi di un mondo interiore che la critica più superficiale ha definito fiabesco, ma che più propriamente la psicanalisi ha indicato come archetipico.

Il tema della poesia e della luce - «Maiorca è la poesia e la luce» (Miró, 1957) - diviene allora, quello dominante, come lo era stato quello delle Costellazioni negli anni della guerra. Nelle opere degli ultimi decenni la poesia e la luce si fanno forma, e questo divenire linguaggio è colto in modo esemplare da Alberto Giacomett. Paradossalmente la luce in Miró è presente anche nel blu profondo della notte. Le grandi tele blu del 1961 esaltano «l'importanza della notte, prima di tutto per la libertà che questa ci offre l'attrazione che esercita su di lui l'inaccessibile, la sua unione mistica con le stelle». E un blu, questo di Miró, che come disse Gaston Bachelard, ha «il colore profondo dei sogni». La luce e la poesia non sono dunque idee prodotte da un sistema estetico, da una spinta scientifica o letteraria, ma elementi costitutivi del suo modo di vivere il mondo, ingredienti quotidiani del suo linguaggio, forze decisive che spingono le sue emozioni.

Lontano da ogni elaborazione teorica sulla natura della luce, che era stata una delle fissazioni della pittura, dall'impressionismo alle avanguardie, Miró si abbandona al colore con la purezza di un bambino. Una purezza tuttavia non ingenua ma sapiente, fondata sul primato dell'emozione: è questa purezza che ci regala poi miracoli della pittura come “L'oro dell'azzurro” (1967), in cui il giallo e il blu divengono emblema degli elementi costitutivi dell'universo, in una girandola di riferimenti legata ai colori del mondo mediterraneo.

written by Giuseppe Carli

Curatore e critico d'arte impegnato nell’organizzazione di mostre ed eventi culturali, con partner privati ed istituzionali come l'Assessorato regionale ai Beni Culturali e dell'identità siciliana- Dipartimento regionale dei Beni Culturali e dell'identità siciliana - Soprintendenza per i beni culturali e ambientali. Scrittore attivo per la Edity Edizioni, Glifo Edizioni, Maretti Editore.

 

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