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Emilio Greco ha un’anima classica, con i suoi quadri classici per soggiorno, siciliano di Catania, nato nel 1913, porta con sé una tradizione antica e un periodo storico di arte eroica e profondamente italica. Non fu persona istruita, ma laboriosa e pazientemente artigiana, ebbe da giovanissimo il peso della famiglia perché rimasto orfano lavorò come garzone scalpellino e la sua formazione si limitò all’avviamento professionale. Per comprendere Greco dobbiamo capire che non solo era italiano, ma cittadino dell’Impero italiano che fu ufficialmente proclamato nel 1938, con Vittorio Emanuele III Primo Maresciallo.
La retorica di quegli anni non vide in Greco un entusiasta sostenitore, ma la vita imperiale fu vissuta dal giovane artista in prima persona. Dopo l’esame alle Belle Arti di Palermo, sostenuto da privatista, che gli permise l’accesso al corso ufficiali, servì il Regio esercito in Sicilia, nelle guerre d’Africa e poi in Albania per finire poi a Roma a maggio del 1943. Perché interessarsi tanto alla vita di Greco, pedina sullo scacchiere militare per 10 lunghissimi anni? Sicuramente per guardare alla sua opera con occhi diversi.
L’otto settembre 1943 il Regno d’Italia ruppe le alleanze di guerra e Greco si trovò nella Roma occupata e visse di stenti fino alla liberazione alleata, il 6 giugno dell’anno seguente. L’artista ancora sconosciuto ritraeva militari e nobildonne, barattando opere per sopravvivere ma non abbandona la città, in cui trova continua ispirazione e nel 1947 anche un singolare atelier, a Villa Massimo, nei locali della vecchia Accademia tedesca lasciata a giovani pittori e scultori, per rimarcare il senso di rinascita sugli errori del passato.
In questa comunità, oltre a Greco, troviamo un Renato Guttuso già affermato, il giovane scultore mazarese Pietro Consagra, e l’emiliano Renato Mazzacurati, politicamente impegnato e legato ai circoli artistici parigini. Emilio Greco guarda con interesse alle ricerche innovative dei compagni d’atelier e ai valori che impregnano le loro scelte estetiche ma non si fa travolgere. Con silenziosa introspezione torna nel proprio vissuto, mentre scava nelle tecniche e nelle forme antiche cercando in quei mondi remoti una risposta allo spaesamento morale di una vita trascorsa in parte sui campi di battaglia.
Nell’arte di Emilio Greco troviamo le forme eroiche del ventennio che tornano ad umanizzarsi, che si chiudono in sé stesse, che dimenticano ogni retorica, smarriscono lo sguardo truce e dominatore ma non dimenticano la radice italica, fisica, quasi sanguigna, colma di vita e velata di malinconia. Si volge agli etruschi per l’insondabile bellezza dei volti femminili, ai romani per la penetrante ritrattistica, ai popoli campani che trattengono caratteri arcaici di un perduto mondo mediterraneo. Sfugge al barocco, alla narrazione, allo storicismo, alla teatralità e si concentra sui bisogni più umani di prossimità, di presenza, di accoglienza.
Della sua vita di adolescente scalpellino, che creava levando opta per un’attività di plasticatore, aggiungendo cioè materia fino a raggiungere la forma perfetta che ha immaginato per quella singola opera. L’arte di Greco come scultore è conosciuta ed è splendida ma vorrei andare alla fonte del suo modellare: dobbiamo necessariamente concentrarci sulla sua opera grafica, di cui abbiamo raffinati esempi trattati sia in calcografia, acquaforte e acquatinta, che in litografia. Nelle prime - Memoria di Catullo, Composizione, Tre volti - il segno è preciso ritmico ossessivamente preciso, simile alla traccia di un bulino; nelle seconde - Paolo e Francesca, Corrida - è leggermente più morbido per la maggiore libertà nel disegno che questa tecnica permette. In tutte queste opere è evidente la grande sicurezza nella composizione e l’attenzione ai piani di luce.
Emilio Greco scolpisce, anzi modella con la penna, prima ancora dell’argilla. Il suo disegno è prezioso perché, oltre la bellezza, mostra chiaramente il percorso mentale dell’artista volto a costruire un volume, un gioco iconico di ombre e di luci, un equilibrio di forme tra pienissimi e vuoti. Ammirare un disegno di Greco, oltre al piacere di radici così antiche da essere più classiche di Roma e di Atene e di tornare alla semplicità dei corpi e ai riti minoici, significa osservare una statua per come l’immaginò l’artista nella propria palpitante immaginazione.
written by Massimiliano Reggiani
Massimiliano Reggiani, studioso dell'arte contemporanea di cui indaga la funzione sociale, il contesto culturale in cui si forma l'artista e i riflessi della tradizione nella costruzione dello specifico linguaggio individuale. Diplomato in decorazione pittorica e scenotecnica, laureato a Parma in Giurisprudenza e in Filosofia, ha completato il proprio percorso di formazione artistica alle Belle Arti di Bologna in Scenografia. Cura, assieme a Monica Cerrito, la sezione Arte della testata online EmmeReports e la pagina Facebook Critica d'arte.