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Il giardino | II parte

Le soavi note di un poeta Arabo (Abd Ar Raman), sospendevano solo temporaneamente, nel precedente articolo, il filo della narrazione sulla storia del giardino che qui volentieri riprendiamo soffermandoci su uno dei momenti certamente più felici conosciuti dall’arte del Verde: il Rinascimento.

Superato il Medioevo, il culto del giardino torna sulla scena, riguadagnando un ruolo da protagonista nella progettazione delle grandi dimore. Pur riproponendosi sostanzialmente il modello romano delle due aree: l’una prossima all’abitazione e l’altra più distante, quest’ultima viene ora destinata esclusivamente alla coltivazione a bosco ed alle partite di caccia. Il giardino vero e proprio si svolge infatti esclusivamente intorno all’abitazione, riunendo tutti quegli elementi decorativi che il giardino romano collocava nella parte panoramica. Si configura definitivamente lo stile del “Giardino all’Italiana”, del tutto permeato dal concetto di “natura domata” e che, originatosi in Toscana, si diffonderà in altre regioni ed in tutta Europa, particolarmente in Francia. Per tutti i tre secoli successivi in cui rimarrà in auge, la configurazione del giardino risponderà ad alcuni canoni generali che, nel corso degli anni, rimarranno pressoché immodificati. Le aiuole, le vasche, i viali, hanno forma geometrica e sono rigorosamente simmetrici, secondo un asse longitudinale il più delle volte intersecato da uno trasversale. Anche nelle ville che sorgono su terreni collinari, le ondulazioni vengono trasformate in terrazze per salvaguardare l’orizzontalità dei piani. Le siepi (di bosso, di ligustro, di tasso), perfettamente squadrate, orlano le aiuole, formando disegni più o meno complessi. Elemento tipico di questo periodo è il ben noto “labirinto” alchemica figurazione del contrasto tra il Bene e il Male. Tutte le piante poste a dimora, (come il leccio, il faggio o il tiglio) sono foggiate,ad eccezione di quelle dotate di forme regolari. Notevoli esempi di ville rinascimentali toscane sono: la Villa Medicea di Poggio a Caiano o piuttosto Villa Buonvisi sulle colline lucchesi di S. Pancrazio. A Roma ricordiamo il Casino del bel respiro nel grande parco di Villa Pamphili.

Pur non raggiungendo la sontuosità del giardino italiano di cui ricalca grosso modo l’impostazione, il giardino Francese se ne distingue soltanto per la notevole estensione, favorita da una orografia più pianeggiante del territorio. Tale vastità di superficie unitamente alla presenza di specchi d’acqua, di complessi disegni nel parterre, di graziosi padiglioni, conferisce comunque a questi parchi una certa “grandeur”. Divenne d’uso in questo periodo il ricovero invernale degli agrumi, (anch’essi coltivati in forme foggiate) per la decorazione estiva dei piazzali antistanti le dimore: nacquero in tal modo le orangerie.

Il più fulgido esempio di quanto abbiamo esposto, sono i Giardini di Versailles, che appaiono oltretutto come un vero e proprio museo all’aperto, dato l’enorme numero di vasi e statue in piombo dorato, marmo e bronzo (oltre trecento), che popolano i boschetti disegnati da Mansart e Le Nôtre; quest’ultimo fedele osservante dello stile “formale” vi aprì grandi prospettive punteggiate di specchi d’acqua, che riflettevano i cieli cangianti dell’Ile de France. Tanta attenzione e tanta cura, portarono molto più tardi il padre del positivismo Hippolyte Taine a pronunciarsi così: “Le aiuole e i parchi sono come saloni all’aperto… Non più un luogo di solitudine e distensione, ma un luogo dove passeggiare e salutare.” Ponendo l’attenzione sulla funzione relazionale e sociale assunta da una tipologia di giardino cosi fortemente organizzata ed abbellita, al pari di uno spazio domestico.

Uno spirito del tutto diverso, addirittura antitetico, contraddistingue l’impianto del giardino Inglese. E’ consuetudine datare il sorgere dell’ “English style” per il giardino intorno alla metà del XVIII secolo, sotto l’influsso di progettisti come Kent, Chambers ed altri (si potrebbe in realtà affermare che quello stile forse è sempre esistito come la sola forma di giardino possibile, data la visione tendenzialmente “romantica” dei popoli nordici che, avvertendo la Natura in maniera tanto intensa da personificarla addirittura, la desiderano più “libera” nella molteplicità delle sue forme). La poetica del Pittoresco, comunque, si precisa nello spazio di pochi anni (1750-1790) ed annulla l’antitesi tra natura disegnata e natura selvaggia riunendo in un’unica visione, estetica, natura, pittura, giardino e architettura. Nasce così “The art of landscape”: la cultura del Paesaggio, in aperta critica allo stile “formale” di Le Nôtre e al suo geometrismo. L’intervento umano è pertanto limitato al minimo indispensabile e prevalentemente ispirato al paesaggio. E’ questo lo stile cosiddetto “Paesistico” con canoni diversissimi da quelli mediterranei. I viali e le aiuole hanno andamento sinuoso dando al visitatore la sensazione che dietro ogni curva possa celarsi qualcosa di inatteso, e le numerose piante ad alto fusto vengono lasciate crescere in macchie irregolari. Le acque sono raccolte in laghetti alimentati da piccole cascate. Le rare opere murarie imitano rocce e scogliere e gli elementi ornamentali rispondono a canoni gotici piuttosto che classici. Va riconosciuto, proprio a William Chambers, il recupero di elementi formali vicini alla tradizione orientale in materia di architettura di giardini; egli infatti soggiornò in Cina per due anni, divenendo al suo ritorno il più importante fautore dello stile neo-cinese.

Il giardino Orientale riconosce come aspetto fondamentale la riproduzione in miniatura del paesaggio, fino a crearne un quadro da contemplare più che da frequentare. L’impianto è volutamente tortuoso come altrettanto tortuose sono le essenze presenti (il Carpinus o la Parrotia persica). Il giardino Giapponese, in particolare, attribuisce una precipua importanza alle rocce che assumono un significato simbolico, sia per la forma spesso curiosa, che per il luogo dove vengono collocate. Estetica e significato si fondono perfettamente. Immancabile, l’acqua, si raccoglie nelle “tsukubai”, vasche poco profonde fatte di pietra mentre l’illuminazione è affidata alle “toro”: lanterne anch’esse di pietra all’interno delle quali si accendevano le candele.

La contemporanea presenza, insieme allo stile cinese, dello stile gotico in un’unica ottica critica e in uno stile composito, costituiranno l’originale apporto della cultura inglese a quello che sarà in tutto l’ottocento e fino ai primi del novecento lo schema di massima del giardino Eclettico. Questo, caratterizzato dalla confluenza di elementi presi a prestito da ogni modello del passato, con un occhio attento a paesi lontani ed esotici, prende corpo in una più generale cultura del revival spesso recuperata in termini semplificati e riduttivi.

L’architettura contemporanea del costruito come l’Architettura del paesaggio, come un quadro moderno astratto, riservano sempre nuove attenzioni al “progetto verde” inteso quale luogo ove l’uomo ritrova gli ancestrali interessi verso la madre terra; sono appena trascorsi i tempi della New Age ma di essa è rimasto il culto verso la natura insieme al desiderio di viverla in uno stato di amorevole simbiosi.

Che sia romano, medioevale o rinascimentale… occidentale piuttosto che esotico, ogni giardino racconta una storia, poiché esso è ricordo, suggestione di parole sussurrate e sogni coltivati, memoria di rami sottili divenuti verdi giganti, traccia di orme lasciate da chi, abitandolo prima di noi, ha lasciato, nascoste nei vecchi tronchi o all’ombra segreta di fronde secolari, un’indelebile segno di sé.

Il Gazebo

Il padiglione, inteso come elemento puramente decorativo, compare nei giardini formali già in epoca rinascimentale, come replica in miniatura dei templi classici, divenendo anche un elemento funzionale nei parchi secenteschi e settecenteschi soprattutto francesi; esso riveste, però, un ruolo da protagonista nella concezione “pittoresca” del giardino inglese, come felice sintesi di elementi gotici e orientali al contempo. Persino il termine gazebo ha in sé qualcosa di “eclettico”, riconoscendo nella sua etimologia una curiosa mescolanza anglosassone e neolatina insieme, la parola nasce infatti, dall’unione del verbo inglese to gaze (che significa letteralmente “guardare con attenzione”) con la desinenza latina del futuro indicativo, sul modello di videbo; quindi: guarderò con attenzione. Con riferimento probabilmente al fatto che, garantendo un momento di sosta e di riposo, esso si proponeva, anche per la sua collocazione, come punto di osservazione panoramica. Volendo ritornare ai nostri giorni ed ai nostri giardini, crediamo che il padiglione continui ad espletare una doppia funzione estetica e funzionale. Utile nel creare un’area più definita in spazi altrimenti dispersivi, o a movimentare aree verdi più contenute, esso offre comunque un’irrinunciabile area di ombra e di riparo, con l’indubbio vantaggio di essere una struttura autoportante e, quindi, non dipendente dal contesto. I materiali con cui può essere realizzato, su disegno o acquistato sul mercato, devono essere resistenti ai più comuni agenti atmosferici e robusti, come il ferro zincato e verniciato, o l’abete lamellare trattato. Una volta collocato, il vostro gazebo potrà essere “vestito” nei modi più diversi, tenendo conto che ad una struttura in ferro battuto più si addice un avvolgente rampicante, magari fiorito, mentre ad una in legno dai tratti più contemporanei meglio si adatta un telo ombreggiante ed impermeabile. Infine per ottenere il necessario riparo da sguardi esterni o dal vento, si potrà optare per nitidi, quanto freschi tendaggi verticali in garza di lino o cotone raccolti in basso con embrasse, o più facilmente per dei semplici graticci.

Particolare attenzione dovrà esser riservata agli accorgimenti tecnici necessari per l’ancoraggio al piano di campagna, vento e forti piogge potrebbero divellere la struttura, pertanto tirafondi o piccoli plinti di zavorra concorreranno alla soluzione del problema.

Questo elegante e pratico elemento d’arredo diverrà così, un vero e proprio “interno in un esterno”, consentendoci serene conversazioni, festose colazioni e più di un compiaciuto sguardo sul nostro meraviglioso giardino.

written by Walter Angelico

Emanuele Walter Angelico, architetto PhD, si laurea a Palermo dove vive e lavora – è docente in Architettura e si occupa di tecnologie e di design. Completano la formazione e figura di Ricercatore/Progettista una intensa attività di partecipazione a Convegni Nazionali e Internazionali, unitamente alla pubblicazione di articoli e saggi su volumi e riviste di settore.

 

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