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Immagine per il produttore Gianbecchina

Gianbecchina

I primissimi anni

La storia di Gianbecchina, così profondamente legata alla terra di Sicilia e alle vicende della sua gente, comincia con una migrazione: i genitori partono per l'America nel 1912 e lasciano Sambuca, il paese nativo nella vallata del Belice, il bambino di soli tre anni, vine affidato a uno zio che curerà la sua prima istruzione e tenterà di avviarlo alla professione di perito agronomo. L'arte esercitava su di lui un fascino determinante, finché uno di questi un decoratore parietale, Gaetano Greppi, non lo assunse come garzone: fu il primo maestro, l'insegnò a mescolare i colori, ad eseguire gli ornati, a dipingere falsi stucchi e riquadri con fiori ed uccelli. Poi cominciò a lavorare in proprio, a sperimentare l'affresco su pareti di case e di chiese, ma si accorse che l'istinto e la buona volontà non bastano a fare il pittore: con i primi risparmi partì per Palermo seguendo l'esempio di altri due compaesani, i pittori Antonio Guarino e Alfonso Amorelli. Si sistemò in una stanza della vecchia via Alloro e si iscrisse alla scuola libera del nudo nell'Accademia di Belle Arti, che gli consentiva di apprendere la tecnica fondamentale del disegno e della pittura. Il professore Archimede Cantini, scultore di profonda sensibilità e cultura, sprona Gianbecchina agli studi per la maturità artistica che consegue nel '33. Di questo periodo restano rarissime opere tra le quali un “Concertino in terrazza” del 1930 con nudi trattati a pennellate dense ma sciolte, e nello sfondo un'aspra scogliera.

Gli incontri professionali

Ventenne, con lo spirito d'avventura dei siciliani più intraprendenti, partì per Roma senza una lira e si iscrisse all' Accademia di Belle Arti frequentandola dal 1934 al '35 sotto la guida di Umberto Coramaldi. Fu lì che conobbe Pippo Rizzo il quale, apprezzandolo e vedendo le ristrettezze in cui viveva, lo indusse a concorrere ad una borsa di studio messa in palio dall'Accademia di Palermo: la vinse e poté continuare senza preoccupazioni. Era l'epoca del sodalizio tra Guttuso, Barbera, Lea Pasqualino Noto e Nino Franchina; frequentava anche lui le riunioni che si tenevano nello studio di Corso Pisani e poi in casa dei Pasqualino, con Topazi Alliata, ma non solo, artisti, musicisti, giornalisti, un cenacolo anticonformista, aperto al nuovo. Con Guttuso specialmente, che vedeva spesso a Bagheria, condivideva le idee antifasciste, il bisogno di evasione verso orizzonti più larghi. Nella primavera ed estate del 1937 affittò, insieme al giovane studioso d'arte Beppe Sala, una casetta di pescatori a Cefalù e visse per sei mesi tra mare e campagna dipingendo all'aperto, soprattutto acquerelli. Il ricordo di questo soggiorno è rimasto in un libro dell'amico, “Sodalizio a Cefalù”, illustrato da Gianbecchina. Però quando Guttuso lasciò definitivamente la Sicilia, ripartì anche lui per Roma e fù suo ospite insieme a Pizzinato, nello studio di piazza Melozzo a Forlì.

Proseguì presto per Milano dove divise con gli scultori Tarantino, Maggio e Pierluca e la modella pittrice Bettina, un seminterrato in via Guercino: conobbe qui Quasimodo, Migneco, De Grada, Birolli, l'ambiente cioè che presto doveva dar vita a “Corrente”. Furono anni di privazioni e di fame, molti quadri dipinti e pochissimi venduti, qualche lavoro saltuario di illustrazione e d'affresco. Con l'incalzare degli eventi bellici il mercato artistico italiano perde quota e Gianbecchina è costretto nel 1940 a tornare in Sicilia.

Il ritorno in Sicilia 

Nel '41 ottiene, al liceo artistico di Palermo, l'insegnamento che ha determinato la sua permanenza nell'isola. Ma la pittura, per un certo verso, si era messa su un binario parallelo: le sue nature morte appaiono dipinte con una distensione, una fluidità, una libertà che esulano dai canoni accademici ed al quattrocentismo di maniera allora raccomandato; nei paesaggi niente Sironi e niente Carrà, Van Gogh e Cézanne semmai, ma in chiave siciliana. Via via dagli acquerelli fluidi e canori, dai paesaggi concepiti come distese, si passa col procedere degli anni '40 e con la permanenza in Sicilia, ai paesi autentici, spesso così aderenti a una realtà aspra ed ingrata da sopraffare il piacere della pittura per la pittura. L'antica civiltà contadina ereditata nel sangue e nuovamente respinta si esprimeva nell'amorosa attenzione alla conformazione e sistemazione dei terreni, dove si stende la cultura del grano; verde tenero in primavera; giallo al raccolto; riarso nelle stoppie d'estate, dove si muovono dolci ondulazioni ricoperte di viti; e il verde argento degli uliveti sulle colline è il il verde cromo dei mandorli con l'occhieggiare delle case bianche; e i suoi fianchi dei monti le cave dorate di tufo e le spaccature delle frane nella vallata del Belice; è più spesso in su le rocce cristalline azzurre nelle distanze, rosse al tramonto. Tutto ciò divenuto pittura, cultura contadina ad ogni pennellata, come ad ogni colpo di zappa in una fatica di secoli. Questo rimarrà, nei vari sviluppi della sua arte, il carattere di Gianbecchina, interpretazione della terra e della sua vita, non come semplice fatto contemplativo o mero atto estetico, ma come profonda conoscenza e perciò atto d'amore.

La realtà contadina

Da quell'epoca le campagne appaiono sempre più popolate di uomini, contadini rudi e semplici, fatti della stessa terra e della stessa roccia, simili l'uno all'altro e allo stesso pittore, curvi al lavoro o nella lunga marcia quotidiana sulla trazzera, con i muli e coi carri, tori e capre, donne col capo avvolto nello scialle nero (come la madre dell'artista prima che andasse a vivere tra mille siciliani in un quartiere di Brooklyn senza più far ritorno) e i braccianti alienati al mattino in attesa di lavoro e le folle in piazza ad ascoltare il comizio o a commentare la morte del capo lega ucciso dalla mafia. Poco più tardi vediamo comparire più frequente nella sua produzione il nudo femminile, mai accademico ma con un rinnovato senso della forma, della bellezza, e delle nature morte con frutta rigogliose e colori splendidi. Il pittore ha sposato una giovane donna di Sambuca, Maria, bionda e gentile che con amore e intelligenza sorreggerà costantemente la fatica dell'artista.

Le committenze isolane

Intanto si succedono, per incarico della soprintendenza e delle gallerie, sino alla metà degli anni '50, le commesse per affreschi ed opere di restauro in numerose chiese dell'isola danneggiate dagli eventi bellici. Il ritorno alla pittura di cavalletto è segnato da ricerche inquiete: l'artista vuole giovarsi delle esperienze compiute nell'affresco in stesure più larghe e sintetiche, in impaginature più colori calcolate. Gianbecchina, verso il 1954, si è costruito, in gran parte con le proprie mani, un ritiro ad Andrea Agna, un altura sopra Sambuca dove giunge la vista e l'alito del Mediterraneo, vicino i luoghi di Empedocle. Al pittore il mare, il cielo e la terra cominciano ad apparire come colore puro, materia dalle apparenza fluida o resistente, cangianti nel tempo. Il paesaggio va perdendo le sue definizioni operate dall'uomo e la natura ritorna alle sue forme primordiali: rocce non più baciate dal sole ma ardenti in esso, argille resistenti al fuoco ed alberi da esso carbonizzati, mari ove si stempera la fiamma e cieli che abbracciano il cosmo.

Il periodo astratto

Siamo così al periodo astratto che dura dal 1960 sino al '65. Mai astratto geometrico, materica semmai: una discesa nelle viscere della terra per scoprirne le strutture nascoste, il cristallizzarsi del bene, le cariche dirompenti, le forze compresse, il dilagare delle acque, poi lentamente questo tumulto della natura e dell'artista si va a placando, le superfici si ricompongono, la crosta si rassoda, i paesini della grande distesa si concentrano come raccolti per proteggersi dal pericolo che si trasmette attraverso i burroni e i carpacci, profonde ferite della terra. Ma ecco nel 67 una serie di nuovi personaggi apparire su questo mondo trasformato, gli amanti: prima in seno ai paesaggi astratti, poi in uno sfondo libero di scogli e di mare, amplesso drammatico di antiche divinità e infine giovani coppie tra gli alberi, tra spighe, nei canneti. Una felicità mai provata, una esaltazione della gioventù senza complessi di colpa dell'amore come atto della natura nel suo germogliare e fiorire. Il terremoto del 68 interrompe questo inno gioioso alla vita : si sconvolgono le strutture compatte, si spaccano le superfici, riaffiorano gli astratti profondi delle arenarie e dei tufi. In decine di disegni e dipinti l'artista esprime la desolazione e l'abbandono, alza la sua protesta contro chi non vuole risolvere i problemi della zona su cui si abbatte invece la speculazione e cresce il pericolo di una irreparabile disgregazione morale e sociale. Perciò le figure dei contadini del Belice ancora tenacemente attaccati dalla terra tornano nei dipinti di Gianbecchina con la loro volontà di resistere unica speranza di rinascita.

Il fascino della natura

Tre anni dopo che la terra a tremato, dall'altro capo dell'isola l'Etna ribolle e vomita fiumi di lava, il pittore accorre allo spettacolo grandioso e terrificante, contempla nella notte l'avanzare del magma, le fiammate abbaglianti dei boschi, le case sommerse fuse nell'immenso braciere. Forse nella serie di questi quadri dell'Etna Gianbecchina ha toccato il livello più suggestivo del suo colorismo e della sua dinamica realistica, come se il magma fuso torna ad indurirsi alle falde del Mongibello, onda pietrificata, labirinto di solchi e burrata e, così negli ultimi anni la sua pittura si è fatta più attenta alla complessa plastica della natura ai moti interni delle montagne sotto la coltre splendida della vegetazione, alle rocce che si corrugano è accavallano ai piedi delle acque e bruciati dal fuoco. La stessa ricerca la applica nei volti degli uomini induriti dalla fatica, delle rughe solcate dalle intemperie: personaggi monumentali come rocce, vecchi di una generazione, abbarbicati come le radici dei cipressi nei villaggi e nelle campagne, nel profondo, di una Sicilia dove non giunge la civiltà delle macchine e da dove fuggono le nuove generazioni. L'ultima fase di questo dramma siciliano che l'artista coglie, interiormente teso ma con amore per la natura delle cose degli uomini del continuo suo trasformarsi.

Gli ultimi anni

Negli anni a seguire susseguono numerose le mostre e le esposizioni in tutta Italia e anche all'estero, portandolo ad un crescendo verso importanti riconoscimenti pubblici. Parallelamente all'intensa attività pittorica si concentra verso un'importante produzione di grafica d'arte, incisioni, acqueforti, litografie, serigrafie. Di grande rilievo sono le serigrafie dedicate al "Ciclo del pane”. È possibile visionare le sue opere presso varie gallerie e collezioni sia pubbliche che private. Nel settembre 1997 viene fondata l' "Istituzione Giambecchina" diretta dal figlio Alessandro. Muore il 14 luglio del 2001 all’età di 92 anni nella stessa città natale.

I primissimi anni

La storia di Gianbecchina, così profondamente legata alla terra di Sicilia e alle vicende della sua gente, comincia con una migrazione: i genitori partono per l'America nel 1912 e lasciano Sambuca, il paese nativo nella vallata del Belice, il bambino di soli tre anni, vine affidato a uno zio che curerà la sua prima istruzione e tenterà di avviarlo alla professione di perito agronomo. L'arte esercitava su di lui un fascino determinante, finché uno di questi...

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