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Chiamatemi Andy...

Andy Warhol, classe 1928, nasce a Pittsburgh, in Pennsylvania, e nessuno poteva mai immaginare che sarebbe diventato uno degli artisti più stimolanti del XX secolo, cambiando per sempre la concezione dell'arte. È stato pittore, grafico, illustratore, scultore, sceneggiatore, produttore cinematografico, produttore televisivo, regista, direttore della fotografia e attore statunitense, in una società che volgeva il suo sguardo verso il commerciale, il tutto pronto, ed apriva le porte all'avanzare prepotente della tecnologia.

Andy Warhol dà voce a questo clima di emancipazione. Proviene dall'ambiente della pubblicità, sa parlare perfettamente la lingua della sua epoca. L'arte va desacralizzata, non può restare espressione di pochi geni ombrosi per il godimento di una classe colta e raffinata. Così pensa. L'arte deve arrivare a tutti, sfruttare la comunicazione di massa, imitare le immagini pubblicitarie. La vera rivoluzione sarà portare il supermercato nel museo, riprodurre sulle sue pareti bianche la teoria colorata delle merci.

Andy comincia a lavorare con la serigrafia, opera grafica, una tecnica di pittura seriale già utilizzata dalle industrie per stampare disegni su felpe e magliette. Nella democrazia consumistica l'arte deve partire dal basso e parlare alla gente. Essere di nicchia è il suo peccato peggiore. L'arte dev'essere commerciale, se è difficile non serve a nulla. Il quadro di una Coca-Cola, il quadro di un barattolo di minestra: ecco nata la Pop Art.

Contro l'unicità del ritratto, Andy, fa di Marilyn un'immagine infinitamente ripetibile. Di quadri come questo ne trovi in ogni angolo del mondo. D'altronde, già nel 1936 in un saggio intitolato “L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica”, Walter Benjamin aveva evidenziato l'irrilevanza della vecchia distinzione tra originale e copia in un mondo in cui il cinema e la fotografia avevano ormai pregiudicato l'idea stessa di autenticità dell'opera.

Dal 1962, l'anno della morte di Marilyn Monroe, Warhol stampa centinaia di serigrafie. I colori sono saturi, pacchiani. La foto da cui è tratta l'immagine è quella dei manifesti pubblicitari del film “Niagara”, forse la più conosciuta. A suon di copiarlo, quello non è più il ritratto di un volto. La persona scompare sotto il personaggio, i suoi lineamenti vengono stilizzati nello stencil di un'icona.

La star viene moltiplicata, depotenziata, inflazionata. Alla fine ce ne sono talmente tante, che queste Marilyn non incarnano più un sogno, sembrano persone qualunque, come noi. E questo forse è un colpo di coda che lui non si aspettava. La società dei consumi promette successo a ognuno di noi: 15 minuti di celebrità! Siamo tutti potenziali protagonisti.

Nei primi anni Sessanta, Warhol intravede già gli effetti di questo inganno sull'epoca che stiamo vivendo: milioni di consumatori, prima telespettatori oggi utenti, sono desiderosi di passare dall'altra parte dello schermo, e, ci ritroviamo, in un attimo, con milioni di celebrità interscambiabili come la gente comune da cui sono emerse. Ma per sempre avremo un solo Andy (non serve neppure il cognome)!

written by Giuseppe Carli

Curatore e critico d'arte impegnato nell’organizzazione di mostre ed eventi culturali, con partner privati ed istituzionali come l'Assessorato regionale ai Beni Culturali e dell'identità siciliana- Dipartimento regionale dei Beni Culturali e dell'identità siciliana - Soprintendenza per i beni culturali e ambientali. Scrittore attivo per la Edity Edizioni, Glifo Edizioni, Maretti Editore.

 

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